IN TEORIA?

Ufologia, ovvero la scienza che studia gli ufo.
Ma quale scienza. Semmai, fanta- scienza. Cioè la scienza che si interseca con la fantasia.
E gli ufologi?
Buontemponi, che al week end si appostano col binocolo nella speranza di stringere la mano – o il tentacolo – a E.T.
E gli “addotti”, ovvero coloro che sostengono di essere stati rapiti dagli alieni?
Insani di mente, mitomani. Persone squilibrate. Ubriaconi.

In effetti, molti “incontri ravvicinati” hanno banali spiegazioni. Fenomeni atmosferici, per esempio. Aerei militari, palloni sonda. Oppure inganni della percezione. Vedi un bagliore nella notte, un lampo che squarcia il temporale, e l’immaginazione fa il resto. Il cervello non sceglie la spiegazione più plausibile, bensì quella più affascinante. Comunque nessun disco volante, ma proiezioni mentali. Lo sostiene Gustav Jung: noi proiettiamo sulle intelligenze aliene, le nostre ambizioni, le nostre paure, le nostre frustrazioni. I nostri sogni.
Già, sogni. È una storia antica. La tensione tra uomo e cielo.
Come i nostri avi giocavano con le stelle, e univano i punticini disegnando la volta celeste, e credevano che ogni notte mostri e fiere combattessero battaglie primordiali, così l’uomo moderno, tecnologico, l’uomo con lo smartphone, ha ancora lo sguardo perso a rimirare galassie e soli lontani. Nonostante il progresso, l’uomo moderno è ancora un bambino a bocca aperta, che si tormenta il labbro.
Il cielo continua a rapirci. Troppe, troppe stelle.
Perchè la sua prospettiva ridisegna ogni concetto di confine,  ci fa precipitare dentro a un pozzo: attorno a noi, terra e liquami e mattoni. La nostra piccola squallida realtà limitata. Il mondo che conosciamo, ovvero il fondo del pozzo. Ma sopra?  Sopra c’è l’Illimitato. La Via Lattea, le galassie. L’altra parte del pozzo. E poi, loro. Gli abitanti di altri mondi, che non vedremo mai, e che possiamo solo immaginare. Magari, proprio in questo momento, lassù, in quel punticino di vetro che balugina nella notte, c’è lui, l’abitante di un mondo lontanissimo che guarda verso la Terra, e fissa proprio me. Ci guardiamo negli occhi, io e lui. A distanza di miliardi di anni luce, i nostri occhi si incontrano. Le mie pupille, e le sue: l’idea stessa è vertigine. Proiezione.
Ma il punto è: e se la distanza si accorciasse?
Cioè, non più anni luce. Ma metri, centimetri.
E se non fosse un sogno?

Il caso Zanfretta possiede tutte le caratteristiche per entrare nella casistica: fantascienza, proiezioni mentali, nevrosi o mitomanie – (ubriachezze, no: Piero Zanfretta è astemio).
Ciò che lo differenzia dagli altri casi è l’impressionante quantitativo di testimonianze, di riscontri oggettivi. Le orme, le tracce, le macchine che si spengono senza motivo. Le premonizioni. Le palle di fuoco che schizzano nella notte. Ma anche le perizie psichiatriche (responso: sano di mente, sempre) e le decine e decine di sedute ipnotiche. E soprattutto,  il coinvolgimento di un’intera città, Genova, tra titoli in prima pagina, tv, e Portobello.
Ma accanto alla cronaca, c’è altro.
Il grottesco, l’elemento posticcio, di cartapesta. La caricatura da film di serie Z.

Tra inseguimenti nella notte, nuvole d’oro, colpi di pistola e urla; tra sedute ipnotiche, motorette volanti, e robot in incognito, ci sono Loro; questi alieni goffi, troppo goffi, e il loro demenziale progetto di colonizzazione terrestre.
Loro  e  i genovesi, in un incontro impossibile.
Loro e una sola vittima: Piero Zanfretta, il metronotte linciato dall’opinione pubblica degli anni di piombo.
Un caso umano. Un caso in cui certi sogni si realizzano. Quando le proiezioni, forse, non sono proiezioni, e i margini del pozzo vengono a contatto.
Sullo sfondo, l’Italia alla fine degli anni 70. Ingenua, piena di speranze. Ma anche falciata dal brigatismo, dalla lotta armata, dalle bombe.    




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